Il “passaggio” alla fatturazione elettronica appare un evento epocale che potrebbe incidere pesantemente sui già gravosi adempimenti collegati alla fiscalità imposti alle imprese, le quali, nel 2017, secondo dati della Banca Mondiale, hanno impiegato ben 238 ore in adempimenti di carattere fiscale.
I numeri stimati in vista dell’obbligo che scatterà il primo gennaio 2019 sono impressionanti, si parla di 1 miliardo e mezzo di fatture che transiteranno attraverso il Sistema di Interscambio gestito dall’Agenzia delle Entrate. E’ importante evidenziare anche altri aspetti, non trascurabili, che il nuovo sistema introduce poiché il nuovo adempimento non si esaurisce nella sola emissione elettronica della fattura elettronica ma comporta anche l’obbligo per i cessionari/committenti di ricevere le fatture in formato digitale e di conservarle ai sensi del D.M. 17 giugno 2014 (sia per cessionari/committenti che per cedenti/prestatori).
Da queste premesse risulta evidente che, con un sistema fiscale autenticamente macchinoso e poco efficace, per alcuni versi quasi barocco, difficilmente le imprese, specie se di ridotte dimensioni, possono cogliere vantaggi dalla e-fattura. Per queste il nuovo obbligo si riduce ad una delle tante “idee” di un legislatore che dal suo Olimpo non fa altro che aumentare continuamente la “pressione burocratica” e i costi amministrativi per le imprese.
Va ulteriormente considerato che il tessuto imprenditoriale del nostro Paese, formato per più del 95% da microimprese molto spesso prive di una struttura amministrativa interna, comporta, inevitabilmente, che un ruolo fondamentale nella corretta gestione degli adempimenti fiscali venga svolto da intermediari professionali, siano essi liberi professionisti o associazioni di categoria. Con ogni probabilità, almeno nella fase di avvio del nuovo adempimento, verrà richiesta agli intermediari fiscali una particolare assistenza sia in fase di emissione che di ricezione, con conseguenti maggiori oneri burocratici a carico delle imprese. Mentre per una grande impresa, dotata di propri uffici amministrativi, la fatturazione elettronica permette di ridurre i costi di gestione del ciclo di fatturazione, sia attiva che passiva, altrettanto non può dirsi per le piccole imprese.
I rischi di errore nel periodo transitorio
La scelta di limitare ad alcune categorie di imprese l’avvio del nuovo obbligo dal 1° luglio 2018 (peraltro, com’è noto, per i distributori di carburanti, con apposito decreto legge, la decorrenza è stata prorogata al 1° gennaio 2019) non ha fugato tutti i dubbi e le incertezze degli operatori sulle concrete attività da intraprendere. La soluzione migliore sarebbe stata quella di evitare una partenza anticipata per alcuni soggetti e approfondire preventivamente tutte le problematiche che gli intermediari fiscali avevano sollevato agli organi competenti. Le difficoltà maggiori restano, infatti, quelle riconducibili alla gestione dei flussi di fatturazione con le inevitabili criticità che si determinano tutte le volte che si entra sui processi amministrativi delle singole imprese. Non trascurabile appare anche l’individuazione delle operazioni soggette all’obbligo, non sempre chiaro e lineare, con l’inevitabile rischio di far insorgere possibili discussioni fra le parti contraenti. Tanto per citare un possibile caso che inevitabilmente potrà presentarsi: il cedente ritiene che l’operazione posta in essere non sia soggetta all’obbligo di fatturazione elettronica, mentre il cessionario è di parere opposto, oppure nutre dubbi in proposito (ciò anche avendo contezza delle severe sanzioni che gravano sul cessionario che riceve fattura analogica in luogo di quella digitale). Tale situazione richiede un necessario approfondimento, magari successivo ad una fase di “studio” e/o confronto tra le parti, con inevitabile perdita di tempo per entrambe, i contraenti e i loro consulenti.
Occorre, al riguardo, ricordare che, in caso di emissione di fattura analogica in luogo di quella digitale, la fattura si considera non emessa e di conseguenza vengono irrogate le conseguenti sanzioni (ex articolo 6, comma 1, del D.Lgs. n. 471/1997) pecuniarie dal 90% e il 180% dell’imposta e in misura fissa, da 250 a 2.000 euro, se la violazione non incide sulla corretta liquidazione del tributo. Al cessionario/committente, invece, per non incorrere in una sanzione pari al 100% dell’imposta, con un minimo di 250 euro (ex articolo 6, comma 8, del D.Lgs. n. 471/1997) è imposto l’obbligo di assolvere alla fatturazione elettronica ed adempiere agli obblighi documentali ivi previsti mediante il Sistema di Interscambio, in sostituzione del cedente/prestatore.
Sanzioni soft in avvio
E’ evidente che specie nel periodo transitorio (1° luglio – 31 dicembre 2018) è assolutamente necessario un intervento legislativo che azzeri le sanzioni applicabili. Inoltre, va prevista una graduazione nell’applicazione delle stesse a decorrere dal 1° gennaio 2019 (magari, ad esempio, per i primi 6 mesi del 2019 le sanzioni possono essere ridotte ad 1/10 e per gli altri 6 mesi ad 1/5). Tale ragionevole approccio appare indispensabile anche al fine di ottenere una piena collaborazione della parti coinvolte.
Quali proposte per rendere meno negativo l’impatto sulle piccole imprese
La riduzione delle sanzioni, in fase di avvio del nuovo obbligo, rappresenta solo uno dei possibili interventi sui quali si auspica l’intervento di Governo e Parlamento. Un ragionamento va fatto attorno all’utilizzo delle informazioni che si possono ritrarre dalla trasmissione in tempo reale al Sistema di Interscambio delle fatture.
La relazione tecnica al Disegno di Legge di Bilancio 2018, presentata al Senato il 29 ottobre 2017 dal Governo Gentiloni (testo nel quale lo scorso anno sono confluite le norme in materia di fattura elettronica obbligatoria) afferma che: “L’introduzione della fatturazione elettronica obbligatoria genererebbe, a regime, un incremento di gettito IVA dovuto alla eliminazione dei fenomeni evasivi, stimato prudenzialmente in almeno 1,6 miliardi di euro, cui si assocerebbe un recupero delle imposte dirette. Il recupero di gettito complessivo sarebbe pari a 2,05 miliardi di euro.” Inoltre viene evidenziato che: “tali dati (quelli delle fatture elettroniche, N.d.R.) potranno essere utilizzati dall’Amministrazione Finanziaria per potenziare le attività di analisi del rischio e controllo, rendendole più immediate e affidabili in considerazione dell’elevata qualità dei dati e della tempestività della loro acquisizione”.
Se, quindi, la fatturazione elettronica, stando alle analisi svolte dal precedente Governo rappresenta un importante tassello nella lotta all’evasione, allora è giunto il momento di eliminare o rivedere diversi istituti che, nel tempo, sono stati introdotti dal legislatore per il contrasto e la prevenzione all’evasione e che, con la fatturazione elettronica, non hanno più ragione di essere mantenuti.
L’eliminazione o la revisione di tali oneri che, ad oggi, non è stata prevista, potrebbe, almeno in parte, controbilanciare le ricadute negative del nuovo adempimento e rendere meno “indigesti” alcuni costi, compresi quelli per l’aggiornamento dei propri sistemi informatici. E’ giunta l’ora, ad esempio, di abrogare lo split payment, il reverse charge in edilizia, di incrementare il limite da cui scatta l’obbligo di apposizione del visto di conformità per la compensazione di crediti IVA, di ridurre la percentuale della ritenuta applicata da banche e poste sui bonifici relativi a spese che riconoscono detrazioni fiscali ai contribuenti. In pratica occorre ripensare radicalmente la strategia di contrasto all’evasione, avendo ben chiaro che la digitalizzazione delle fatture elettroniche può, e deve, portare a nuove modalità di contrasto all’evasione e ridurre gli adempimenti che gravano sui contribuenti.
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