Un fondo pubblico da 3 miliardi per le startup: punto di partenza per una svolta

Un fondo pubblico da 3 miliardi per le startup: punto di partenza per una svolta
Un fondo pubblico da 3 miliardi per le startup: punto di partenza per una svolta

Un fondo pubblico da due o tre miliardi di raccolta da soggetti istituzionali per far nascere nuove startup e consolidare le scaleup. Ormai l’intenzione della maggioranza parlamentare sembra questa, chiaramente, nella Legge di Stabilità 2018, come ribadito da Luca Carabetta, deputato M5S, vicepresidente della commissione Attività produttive della Camera.

Il fondo pubblico per spingere startup e venture

La proposta è un punto di partenza interessante per dare una svolta al mondo dell’innovazione e delle startup in Italia. Ma con dei vincoli: una quota minima di investimenti targati Pir (Piani individuali di risparmio), un vincolo territoriale per le operazioni e un doppio target.

Obiettivo creare una piattaforma per il venture capital e il private equity. Da far partire entro l’anno. Aggiungendo inoltre che il governo punta a coinvolgere anche casse previdenziali, fondi pensione, assicurazioni, fondazioni bancarie.

Buona idea, ma non basta: che fare

Abbiamo sempre lamentato il nanismo dell’ecosistema dell’innovazione italiano se paragonato agli altri europei e per la prima volta si parla di investimento in equity. Sicuramente un’iniezione di liquidità non può che fare bene al sistema.

Forse sarebbe però meglio pensare ad un fondo di co-investimento con il privato capofila che faccia da garanzia della bontà dei progetti selezionati. In modo che l’investimento avvenga in modo professionale e il più possibile indipendente, con un’attenzione al ritorno atteso dall’investimento. Per questo occorre che i privati mantengano un ruolo preponderante.

Qualche giorno da Di Maio parlava di una banca pubblica che “mira al riordino di tutti i sistemi previsti dall’ordinamento”, coinvolgendo anche l’onnipresente Cassa Depositi e Prestiti. Per ricoprire il ruolo che in Francia svolge Bpi France, l’istituto pubblico voluto dal presidente francese François Hollande e da Emmanuel Macron (citato come modello da Di Maio), partecipato al 50% da Caisse des dépôts et consignations e dalla società statale Epic.

Anche se il programma di Macron in aggiunta prevedrebbe anche un piano di investimenti da 50 miliardi per la modernizzazione dello Stato basato su formazione e aumento competenze, oltre ad un fondo da 10 miliardi dedicato all’innovazione dell’industria, la riduzione della pressione fiscale sulle imprese al 25% e la creazione di un mercato unico europeo dell’energia e dell’economia digitale. Non noccioline.

Perché invece non pensare ad un progetto di coinvestimento pubblico privato in cui il ruolo di capofila lo facciano comunque soggetti privati, che a titolo personale o istituzionale, ricoprano un ruolo garanzia della qualità degli investimenti. E questo perché in grado di parlare entrambe le lingue, quella dell’innovazione e del investimento finanziario, e quindi di accompagnare i grossi investitori nella selezione dei progetti per “combinare” il business. I tramiti di tutto ciò potrebbero essere proprio i Business Angel in quanto già imprenditori o manager che possono fungere da garanzia per il fondo e i suoi azionisti. Il privato non solo come coinvestitore ma anche con un ruolo attivo nel management e nella scelta.

Come già avevamo suggerito nel corso dell’audizione tenutasi presso la Commissione Attività Produttive della Camera dei Deputati nel 2016 bisogna cercare di incentivare gli investimenti, soprattutto quelli in Equity, per arrivare ad avere un volume d’affari che possa davvero generare un circolo virtuoso nel paese. Questa iniziativa va nella giusta direzione anche se la difficoltà probabilmente sarà convincere i fondi pensione, le assicurazioni e i Private Banker, ancora poco sensibili e molto cauti nei confronti delle startup, ad aumentare i co-investimenti con i fondi privati.

Il ruolo delle startup nostrane

Resta comunque il fatto che in Italia la qualità delle startup è spesso deludente. E forse anche questo frena gli investimenti. Oltre a progetti poco innovativi molte startup innovative iscritte al registro non hanno nemmeno un sito internet.

Senza dubbio aumentare l’appetibilità del business model. E creare qualcosa di nuovo. Ma questo spetta agli imprenditori. Ci sono casi rari di eccellenza: ad esempio all’ultima convention di Iban ha parlato Uljan Sharka che si è inventato Crystal.io, uno strumento specializzato nell’analisi delle performance dei contenuti digitali. Monitora le statistiche di vari canali, inclusi sito web e canali social, facilita la pubblicazione di nuovi contenuti e automatizza la gestione delle campagne in modo da ottenere risultati ottimali. Oltre ad analizzare, elaborare e restituire informazioni anche su qualunque database aziendale. Una sorta Siri per le imprese. Uljan è stato capace di inventarsi un prodotto e oggi dà lavoro a più di 100 dipendenti e lavora con imprese di tutto il mondo.

In ogni caso sicuramente il modello francese è interessante, vedremo se e come verrà implementato. Segnaliamo però che un collega di France Angels lamenta che il Modello Macron ha creato problemi ai business angel; l’elevata concorrenza per progetti di qualità, ha portato ha innalzare rapidamente il valore delle startup rendendo il taglio degli investimenti troppo elevato. E di conseguenza i BAN (business angels network) meno competitivi per problemi di sostenibilità finanziaria.

Una sorta di bolla sull’onda dell’entusiasmo creata dalla grande disponibilità finanziaria. Vedremo se sarà supportata da numeri reali e potrà diventare davvero un modello da emulare anche in Italia.  

L’articolo Un fondo pubblico da 3 miliardi per le startup: punto di partenza per una svolta proviene da Agenda Digitale.

Author: iz4wnp